Intervista a New Bushido - Chiesa Taoista d'Italia

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Intervista a New Bushido

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Taoismo, taoismo, Tao, Daoismo, daoismo, Dao, yin yang, wu xing, bagua. La Chiesa Taoista d'Italia promuove il Taoismo (Daoismo) seguendo il Tao (Dao), per i taoisti.

Intervista rilasciata a
www.newbushido.net



1. Siamo abituati a distinguere le arti marziali Cinesi in esterne (waijia) ed interne (neijia), attribuendo di fatto agli stili esterni un origine Buddista e a quelli interni un origine Taoista, ma a parte le origini storiche, andando nel concreto, che cosa c'è di Taoista nel taijiquan e cosa c'è di Buddista nel Hung-Gar? (cito 2 stili tra i più caratteristici, ma penso che il discorso valga per tutti)

Penso sia incorretto dividere le AM fra interne ed esterne secondo una classificazione religiosa. Peraltro, la mia esperienza in Cina mi ha confermato che in entrambi i poli ci sono tecniche dell’altro. Questo è dovuto al grande spirito sincretico della mentalità cinese.
Tanto è vero che non tutti i praticanti di Taijiquan sono taoisti e viceversa, buddisti, quelli dello Hunggar, sebbene entrambe le scuole fanno risalire le loro origini a persone religiose.
Ritengo più coerente affrontare questo problema dal punto di vista antropologico.
L’origine di tutte le AM risiede in due concetti: l’attacco e la difesa. Se non c’è difesa o attacco, non esiste il combattimento. Sembra ovvio, quasi banale, ma questa è la ragione della nascita e del perfezionamento dell’arte della guerra.
Inoltre possiamo separare situazione, combattente, tecnica, tattica e strategia?
Certamente no.
Ciò detto si può rispondere ad un attacco in molti modi. Possiamo farlo in maniera devastante fino all’uccisione del nostro avversario oppure possiamo calibrare la nostra difesa in modo da neutralizzarlo.
Per forza di cose occorrono due differenti tipi di tecniche, quindi due tipi di scuole di pensiero, due modalità di allenamento.
Nel primo caso si devono rompere ossa, quindi le armi naturali devono essere molto fortificate; nel secondo, dovendo rendere inoffensivo l’avversario, occorre una maggiore introiezione per avere una tecnica che si armonizzi con la dinamica aggressiva e poterla neutralizzare.
Vorrei dire un’ultima cosa riguardo alle AM interne.
Non credo in "poteri" sovrannaturali che consentono ai praticanti prestazioni extra ordinarie.
Ritengo, piuttosto, che le potenzialità umane sono per lo più sconosciute e che, se si segue con costanza e determinazione un percorso interiore, certamente si può giungere ad un raffinato livello della tecnica.


2. Il Taijiquan può essere considerato una forma di meditazione? e se si, quale deve essere l'atteggiamento mentale del praticante che volesse utilizzarlo a questo scopo?

Innanzitutto bisogna intendersi sul termine meditazione.
Se intendiamo uno stato mentale di calma, allora il Taijiquan, può, senza dubbio alcuno, essere considerato una forma di meditazione.
Infatti, una volta interiorizzati i movimenti, possiamo eseguirli senza "pensarli".
I praticanti dovrebbero abbandonarsi al flusso dinamico del susseguirsi motorio, nel rispetto delle proprie capacità e possibilità psicomotorie. Se si pratica così, il gesto motorio diventa espressione della persona la quale, proprio perché non esistono conflitti tra se stesi e il movimento, ne ricava  una profonda sensazione di benessere. Ci sono svariate ricerche scientifiche che dimostrano quanto dico e, probabilmente, risiede in questo la ragione della diffusione, a livello planetario, del Taijiquan, soprattutto per il benessere personale.
Se, invece, chiariamo che la meditazione è uno stato della nostra coscienza che deriva da un lavoro verso l’interno (Néig
ōng內功), il cui fine è l’arresto di tutto quanto perturba la nostra mente, per poter giungere alla "Vacuità" (Kōng )  e all’Illuminazione spirituale, allora il Taijiquan, non è una tecnica meditativa né può servire per elevarsi spiritualmente, così come tutte le AM che si autodefiniscono "spirituali".
Il fatto stesso che "facciamo" qualcosa dimostra che non è meditazione.
La meditazione è ridurre, fino al punto zero, il fare, il pensare, il sentire, fino a dimenticare se stessi.

3. Lei ha iniziato a praticare arti marziali da laico, per poi successivamente fare una scelta di vita nel Taoismo, ritiene che ci siano differenze tra il suo modo di praticare prima della conversione e quello successivo?

Assolutamente si.
La ragione risiede nella psico-percezione di me stesso.
Quando ero giovane pensavo di essere come il sole: tutto doveva girare intorno a me, ero il centro del mondo. Come tutti i giovani maschi alla ricerca dell’affermazione di sé, del resto.
Pur non essendo interessato più di tanto alle gare, ero molto competitivo e aggressivo.
Per me, l’avversario doveva essere abbattuto non vinto.
Adoravo combattere con chiunque, dalle bande di bulli da strada ai praticanti di marziali. Non mi interessava vincere o perdere. Mi eccitava il confronto e mostravo i lividi o i postumi di una frattura come fossero medaglie al valore.
Ovviamente la mia pratica delle AM era centrata sul potenziamento fisico, sulla ripetizione di un singolo movimento per centinaia di volte, in ogni sessione di allenamento, con il makiwara, il sacco e così via.
Penso, d’altra parte, che tutti i praticanti della mia età, abbiano fatto lo stesso.
I primi anni settanta erano un’epoca epica che ricordo con molta tenerezza e ringrazio il Tao di avermela fatta vivere.
Nel corso degli anni la percezione di me è cambiata, specialmente dopo la mia conversione al Taoismo.
Oggi, la consapevolezza dell’impermanenza della realtà (wúcháng
無常) mi ha fatto perdere qualsiasi desiderio di potere o di possesso. La forma esteriore è un fatto transitorio. Per cui i miei occhi cerano sempre di guardare oltre ciò che vedo.
Oggi mi sento come la luna che, umilmente, quasi in assenza di Ego, si limita a riflettere la luce del sole.
Ovviamente non rinnego il mio passato nelle AM poiché sono parte del mio vissuto e concorre a formare ciò che sono, nel bene e nel male.
D’altra parte, il Dào Dé J
īng道德经, il Canone del Tao e del suo Carisma, il testo fondamentale del Taoismo, prevede la figura del guerriero ma a certe condizioni.
Il Capitolo 31 dice, infatti, che il taoista è pacifico e non si occupa delle armi perché esse sono strumenti dei malvagi non del saggio, il quale le adopera solo se non può farne a meno.
Inoltre dice che, una volta compiuto il proprio lavoro, ritirarsi è la via del Cielo (cap.9) cioè la difesa termina quando l’attacco è stato eliminato, per cui non s’inveisce mai su un avversario reso inoffensivo.
Per quanto ho detto, oggi la mia pratica delle AM ha come scopo il mantenere in efficienza minima le mie armi naturali, giusto nel caso estremo in cui debba difendere la mia vita.
Nessun’altra situazione potrebbe giustificare, dal punto di vista taoista, l’uso delle AM, meno che mai una semplice competizione.

4. Lei da circa 5 anni ha scelto di smettere di insegnare Arti Marziali, è cambiato, e se si come, il suo approccio alla pratica da quando ha fatto questa scelta?

Nella mia pluridecennale carriera d’insegnante ho avuto l’onore di poter essere il punto di riferimento di molte centinaia di ragazzi. Ho sempre insegnato che le AM sono disciplina non combattimento e che la competizione è un dato naturale per l’affermazione di sé. Inoltre mi sono sempre preoccupato di proteggere l’integrità dell’Io dei miei studenti. Vincere o perdere non creava nessun problema di insicurezza o di esaltazione nei miei ragazzi. Quando partecipavamo alle gare, dicevo sempre loro che il confronto con l’altro da sé è l’unica via per verificare la pratica. Se si incontra un avversario più forte e si perde, bisogna essergli grato, perché ha evidenziato i nostri punti deboli. Nessuno impara dalla vittoria ma una sconfitta fa riflettere. Detto questo, abbattere l’avversario era comunque un dato fondamentale del mio insegnamento.
Oggi, invece, il mio approccio alle AM è caratterizzato dall’assenza di conflitto e competizione, anche con me stesso.
La pratica è il gesto motorio fine a se stesso. Il fine è la salute. Non cerco più la "perfezione" ma lascio che la mia motricità si esprima per quello che è, in quel momento.
In fondo sono semplicemente tornato alle origini delle AM quando si praticava non certo per una gara. Sono tornato al "Jutsu
".

5. Il Taoismo, come la maggior parte delle religioni, prevede un profondo rispetto per la vita di tutti gli esseri viventi, quindi anche di un eventuale aggressore, però in tutte le arti marziali (fatta eccezione per l'Aikido) sono previste delle tecniche di offesa, come si conciliano queste due cose? In altri termini come può un Taoista, sia pure per difendersi, imparare ad esempio a sferrare un calcio che potrebbe potenzialmente danneggiare un altro essere vivente?

Premetto che un Taoista evita sempre lo scontro perché non gli interessa la dualità relativa (Y
īnyáng 阴阳) del "più forte-più debole" ma soprattutto perché non attenterebbe mai all’ordine naturale delle cose o delle persone.
In fondo, per scontrarsi, bisogna sempre essere in due, a volerlo.
Comunque questo tema ci porta nel pieno campo dell’etica e il discorso ci porterebbe solo verso l’assunzione di due posizioni: il subire totale o la reattività compulsiva, con tutte le conseguenze del caso.
Penso sia importante chiarire la differenza tra aggressività e violenza, adattando al nostro discorso quanto hanno scritto Erich Fromm e tanti altri.
L’aggressività è un dato naturale. Ogni essere vivente se non è aggressivo, non può farsi spazio. Persino un filo d’erba deve essere aggressivo, altrimenti il resto della sua specie lo soffocherà.
L’aggressività ha sempre un oggetto o una situazione definita da cui è stimolata e su cui deve essere scaricata. Infatti, se termina la minaccia, l’aggressività si placa.
In realtà, l’aggressività adattiva è l’espressione più vera dell’istinto di sopravvivenza.
In questi termini, nessuna religione al mondo vieta di combattere per salvaguardare la propria vita.
La violenza, invece, è un’aggressività distruttiva che non si placa. Il soggetto violento non si preoccupa minimamente della sorte del suo antagonista. La violenza è sempre sostanziata dal puro piacere di procurare sofferenza, perché si fonda su una profonda instabilità interiore, come paure o desideri repressi, con dinamiche che possono essere consce o inconsce.
L’importante, dunque, non è dare un calcio ma perché e come lo si da. Ciò che conta è l’intenzione.
L’attuazione delle tecniche è una scelta personale che sicuramente ha a che fare con il proprio vissuto etico e religioso.
In fondo il guerriero più bravo è chi pone l’avversario nella condizione di non sferrare l’attacco. Il combattimento finisce prima ancora di iniziare.
E se proprio bisogna combattere, fare il meno danno possibile.


6. Lei ha praticato, arrivando peraltro ad alti livelli, diversi stili giapponesi, quali differenze e quali affinità riscontra, in un ottica di ricerca spirituale, tra gli stili Giapponesi e quelli Cinesi?

Si può rispondere a questa domanda solo se teniamo conto delle due mentalità e della storia.
La mia opinione, in senso generale, è che le AM giapponesi ricercano l’efficacia subitanea, in un solo colpo, mentre quelle cinesi ricercano la supremazia.
In fondo se guardiamo indietro nella storia, vedremo che i giapponesi hanno sempre occupato i territori sopprimendo con la brutale ed efficace violenza i focolai di ribellione. Per questo le loro occupazioni territoriali hanno sempre avuto relativamente breve durata.
L’impero cinese ha, invece, cercato sempre di naturalizzare i popoli conquistati imponendo la sua cultura.
Non a caso Cina si dice Z
hōngguó中国, Nazione Centrale, poiché è stato ed è tuttora, il centro della civiltà e della cultura dell’intera Asia.
Questo si riflette anche sulle AM dei due Paesi.
Prendiamo l’arte della spada, ad esempio.
Nel Kenjutsu
剣術, non esistono finte. Si cerca tempo e distanza per poi sferrare un colpo decisivo. La Katana è fatta per dividere, per separare una parte dal resto del corpo.
La spada cinese, per ovvie ragioni costruttive, essendo diritta e avendo due tagli, consente una scherma più "ricamata" ma non meno efficace. Il Jiàn
tende a tagliare, non a separare.
Questo comporta che, nel primo caso, il danno è irreparabile; nel secondo è più probabile curare le ferite e consentire al perdente di ravvedersi.
Dal punto di vista spirituale le AM, in base alla mia esperienza, non hanno questo fine, sia in Cina sia in Giappone.
Quest’idea della spiritualità marziale è una contradizione in termini, nella quale ho creduto anche io ma che in realtà non esiste. Essa è stata originata da una letteratura epica o da alcuni maestri per ammantarsi di magia. In questo caso non sono più dei guerrieri né potrebbero mai essere dei santi.
Non credo nei guerrieri santi.
Ad esempio i samurai non erano quel modello di perfezione e coerenza etica che certa letteratura ci ha mostrato. Erano prezzolati mercenari pronti a cambiare bandiera per il più offerente.
Inoltre, sia Miamoto Musashi che Sun Zi in fondo cosa dicono nei loro testi?
La guerra è il terreno in cui si giocano vita e morte.
Sebbene la storia ci insegna che spesso le religioni hanno strumentalizzato la guerra e viceversa, non credo che questo possa rientrare in un percorso di evoluzione spirituale meno che mai religioso.
La religione è l’insieme di culti e prassi per consentire la comunicazione tra l’uomo e la divinità.
Mi dite che cosa c’entra la guerra?


7. Buona parte della sua formazione, sia religiosa che marziale, si è sviluppata in Cina, che differenze ci sono (ovviamente se ritiene che ve ne siano) tra l'approccio occidentale e quello orientale nello studio delle arti marziali, e nello studio della religione?

Le differenze sono formali e sostanziali.
Quando studiavo all’Università di Educazione fisica di Pechino (di cui sono stato il rappresentante ufficiale in Italia per sei anni) ho avuto modo di apprezzare l’approccio alle AM da parte dei cinesi.
Per i giovani è un affare serio che prendono con serietà e determinazione. Per gli adulti diventa addirittura vitale. Non si risparmiano mai. Le AM sono parte sostanziale del loro vissuto tanto da diventare strumento di autoidentificazione.
Per i nostri giovani, invece, pensiamo alle AM come un’attività ludica non come preparazione militare (Wǔshù
武术). I nostri adulti, poi, non fanno delle AM la ragione della loro vita (fatte le ovvie dovute e rare eccezioni).
Inoltre voglio porre l’accento sul modo di rapportarsi tra maestro e allievo in Cina.
Il maestro
, Shīfù 师父 ( shī, insegnante; fù, padre) non è un insegnante ma un padre che protegge sempre i suoi figli mentre questi ultimi, avendo un forte senso di appartenenza, oserei dire che darebbero la vita per la loro scuola.
Non a caso i cinesi ci tengono moltissimo alla genealogia marziale forse più che a quella familiare.
Dal punto visto religioso, invece, devo chiarire il concetto di religione tra Cina e Occidente.
Per gli occidentali la religione è qualcosa di rivelato da un Ente superiore per cui non si può discutere sulla veridicità o meno della rivelazione stessa. L’atteggiamento è di totale sottomissione al volere divino. In questo rapporto l’uomo è in balia dei capricci divini, che accetta senza discussione. Questo è il senso del termine latino Religio. In questo consiste la fede nelle grandi religioni monoteiste.
In cinese religione si traduce con Jiào
che vuol dire insegnamento tradizionale.
In realtà la portata semantica è molto più complessa. Infatti, se analizziamo l’ideogramma, l’idea che ne viene fuori è che l’insegnamento è stato convalidato dalla tradizione e dalla prassi, per cui lo si segue più per la sua efficacia pratica  piuttosto che per i suoi presupposto ideologici o divini.
In sintesi, mentre un cattolico si scandalizza se un suo fratello va a pregare Allah in una moschea, in Cina è uso comune pregare indifferentemente nel tempio taoista o buddista perché il popolo ha un rapporto diretto con il divino, a prescindere dalla forma esteriore.
Un proverbio dice che i cinesi sono confuciani al lavoro, buddisti nelle feste e taoisti a casa propria.

8. Ci può descrivere una sua tipica sessione di pratica marziale?

Fino a qualche anno fa praticavo almeno cinque o sei ore al giorno tra studio personale e insegnamento. Adesso il tempo è chiaramente molto ridotto poiché mi dedico quasi esclusivamente alla pratica spirituale, meditativa e liturgica.
Una mia tipica sessione, che normalmente svolgo tre o quattro volte la settimana, è imperniata su tre aspetti in progressione: Kata, per il tono muscolare e la stabilità; Taijiquan, per l’equilibrio e la scioltezza; Spada cinese, per la stimolazione neuro-motoria, la precisone del gesto motorio e il controllo di spazio e profondità.

9. Che cosa ha in programma l'Associazione Taoista Italiana, da lei presieduta per il prossimo futuro?

Consentitemi una premessa poiché vorrei approfittare della preziosa occasione che mi fornite, grazie  alla vostra intervista, per fare cultura, chiarendo alcuni punti sul Taoismo.
La nostra Associazione agisce, da venti anni, sotto l’egida di quella Cinese e collaboriamo con molte altre organizzazioni a livello internazionale per la diffusione del Taoismo vero.
Certamente vi state chiedendo perché ho messo un aggettivo vicino al sostantivo?
In effetti, gran parte di quello che vedo o leggo come Taoismo, non dico che è falso ma sicuramente non è il vero Taoismo. A prescindere che sia insegnato da cinesi o occidentali.
Nella stessa Cina esistono falsi taoisti, come potrebbero non esserci anche in occidente?
Cominciamo a chiarire chi è taoista.
Certamente non colui che, semplicemente, si riempie la bocca o la mente del pensiero taoista.
Ho tanti amici accademici, di fama internazionale, che sono grandissimi esperti di Taoismo, ma non sono taoisti.
Il taoista vero, deve essere stato iniziato in una Scuola (Pài
) la cui tradizione storica sia certa, cioè deve avere una genealogia spirituale e vivere secondo i principi taoisti.
Quali sono questi principi?
I fondamentali sono:
semplicità; Zìrán自然spontaneità; Wúwéi无为non interferenza; Sānbǎo三寶, Tre tesori: compassione, frugalità, umiltà.
A questo aggiungerei il vivere la dimensione del sacro nella propria quotidianità.
Il Taoismo vero deve avere quattro caratteristiche:
Pratico - tecniche di Nèiguān內观e Nèidān內丹, meditazione e alchimia interiore; gōng气功, ecc.;
Filosofico - studio dei testi classici, meglio se in lingua originale;
Religioso - pratiche spirituali e liturgiche;
Umano - diffusione dei valori taoisti particolarmente tramite l’aiuto reciproco, specialmente ai più indigenti, poiché questo è il fondamento per una società più umana (
Tiān Xià Tài Píng天下太平).
Presso il Tempio della Suprema Armonia a Caserta, svolgiamo attività "quotidiane" come l’insegnamento gratuito delle tecniche salutistiche taoiste quali lo
Yǎngshēng養生e le tecniche meditative dal Jìngzuò静坐 (seduto in pace) al Zuòwang 坐忘 (sedersi e dimenticare), così come tutte le attività religiose e liturgiche per i fedeli.
A livello nazionale, facciamo opera di diffusione tramite conferenze, incontri e ritiri brevi di un paio di giorni. Personalmente credo che il Taoismo sia un Bene dell’Umanità e vado ovunque mi inviti un gruppo di persone interessate allo studio e alla pratica. Gli unici costi da sostenere sono quelli di viaggio e soggiorno.
A livello internazionale, organizziamo annualmente un grande evento, il "Taoist Day", cui partecipano decine di Maestri e accademici provenienti da tutto il mondo. Potete apprezzare il resoconto fotografico sul nostro sito.
Infine, per il prossimo futuro, ci sono due grandi progetti dell’Associazione: abbiamo iniziato le pratiche legali per il riconoscimento della Chiesa Taoista e dei Ministri di Culto da parte dello Stato Italiano e, nei prossimi mesi, partirà anche un corso permanente di formazione religiosa taoista, cui possono iscriversi tutti quelli che vogliono seguire il Dào
, la "VIA".


 
 
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